Nel corso di una vita, il cuore batte in media circa 2 miliardi e mezzo di volte. Ogni battito nasce da un impulso elettrico che si genera in cellule-pacemaker e poi, propagandosi attraverso i muscoli cardiaci, li fa contrarre in maniera perfettamente coordinata. Tuttavia, uno studio svedese, presentato all’ultimo congresso dell’European Heart Rhythm Association (EHRA), ha dimostrato che, per chi ha avuto il Covid-19 in forma grave, il cuore può essere soggetto a perturbazioni irregolari del ritmo cardiaco, dando così un’alta probabilità di formare delle aritmie.
Le aritmie cardiache, o perturbazioni del ritmo cardiaco normale, possono creare situazioni irregolari (battiti troppo accelerati o troppo lenti) al cuore. Esistono diverse forme di aritmie cardiache, tra cui bradicardia (rallentamento del ritmo), tachicardia (accelerazione del ritmo) ed extrasistolia (alterazione irregolare del battito).
I dati dello studio, raccolti su oltre 3 mila pazienti confrontati con 28 mila persone che non erano state ricoverate in terapia intensiva per l’infezione, mostrano che, nei 6-9 mesi successivi, la probabilità di bradicardia e quella di dover ricorrere all’ impianto di pacemaker sono aumentate di 9 volte, il rischio di fibrillazione atriale di 13 volte, quello di tachicardia in generale di 14 volte e addirittura di 16 la probabilità di tachicardia ventricolare.
Marcus Stahlberg, cardiologo del Karolinska Institute of Stoccolma e coordinatore dello studio, ha precisato che “chi ha bisogno di ventilazione meccanica in caso di Covid-19 è in genere un paziente già fragile, l’aggiunta di un’aritmia può ulteriormente comprometterne la salute, e la probabilità di alterazione cardiaca è alta anche per chi non ha avuto la malattia in forma grave o è stato ricoverato in terapia intensiva. Perciò, se dopo Covid-19 si notano palpitazioni o battiti irregolari, meglio sottoporsi a un controllo cardiologico”.
Alcuni specialisti consigliano cure che prevedono l’uso di farmaci antiaritmici, da scegliere in base alla tipo di alterazioni del ritmo; tuttavia, le opzioni non sono moltissime e può accadere, se non c’è una risposta soddisfacente, di doversi sottoporre a una procedura di ablazione. In pratica, l’ablazione è un intervento mininvasivo dove vengono eliminate le piccole porzioni alterate del cuore, ed esistono varie procedure diverse, come l’utilizzo delle radiofrequenze (ablazione a caldo), oppure del criopallone, o dell’elettroporazione (ablazione a freddo).
“L’ablazione”, spiega Giuseppe Augello, responsabile del reparto di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione dell’Istituto Clinico Città Studi di Milano, “non è un intervento cardiaco pericoloso come, per esempio, l’angioplastica coronarica: grazie ai nuovi metodi e sistemi che mappano l’area su cui intervenire, è una procedura sicura e poco invasiva che si può eseguire accedendo alla vena femorale in due punti e può durare anche solo un’ora, grazie per esempio alla possibilità di erogare un calore maggiore per tempi più brevi. Il tasso di complicanze è molto basso”.